Sono almeno 1 milione e 700mila i professionisti senza ordine. I ‘non regolamentati’, le cosiddette partite Ivà sono schierati dalla parte opposta di chi difende strenuamente gli ordini professionali dalla ventata di liberalizzazioni da parte del governo, confermate dalla direttiva dell’Antitrust. D’accordo con le posizioni dell’Antitrust si dice Giorgio Berloffa, presidente di Cna Professioni. “L’obiettivo non è – puntualizza – creare una lobby, la nostra stella polare è l’utente. Sì invece a un mercato regolamentato ma nella libertà, nel quale il consumatore sia messo in grado di discernere tra un professionista competente e la Vanni Marchi di turno”. Come? “Ad esempio attraverso un sistema di ‘riconoscimento’ a cui il professionista può fare riferimento, come le norme Uni o la certificazione Accredia, l’ente accreditamento degli enti accreditatori”. In questo senso, dice Berloffa, va la proposta di legge all’esame della Commissione Attività produttiva della Camera, che ha già avuto parere positivo da quasi tutte le commissioni. Convinto che “con gli ordini professionali si deve convivere, alcuni hanno più di 100 anni, è impensabile eliminarli”, Berloffa ritiene tuttavia “utile far fare loro una cura dimagrante, e alcuni potrebbero essere accorpati”. “Gli ordini che si stanno opponendo con più fermezza alle liberalizzazioni non a caso sono quelli – dice – dei farmacisti e dei notai. Una farmacia in una zona centrale cittadina vale milioni di euro, e la vendita dei farmaci non è certamente la quota maggiore del business. Eppure l’ordine si è battuto con forza contro la vendita presso punti esterni dei prodotti da banco. I notai sono una casta, l’ordine garantisce agli iscritti un reddito annuale minimo. Se questo non viene raggiunto interviene la cassa notarile per colmare il gap”. Il presidente di Cna Professioni sottolinea che “circa 30mila studi dei patrocinatori extragiudiziali rischiano di chiudere se passa la riforma chiesta dall’ordine degli avvocati che si batte perché la consulenza giuridica diventi attività riservata. Un giro di vite insomma – rimarca – altro che liberalizzazioni”.