E’ quanto ha stabilito la Cassazione con la Sentenza n. 26368 del 07 settembre 2022 , ritendendo le spese stragiudiziali sempre necessarie e dovute ex art.1223 cc.
Riportiamo integralmente la nota a cura degli Avvocati Massimo Perrini e Valentina Barp del Foro di Torino
Fonte: Unarca
E’ risaputo che la questione delle spese di assistenza stragiudiziale è tema assai spinoso che da oltre cinquant’anni, da quando cioè è nata con la legge 990 la RC auto obbligatoria, contrappone fieramente gli assicuratori ai danneggiati. La rilevanza della questione oltre che di diritto ha anche natura sostanziale perciò – prima di esaminare la questione sotto altri profili – sia consentito un ragionamento in fatto: non liquidare le spese stragiudiziali significa incentivare comportamenti opportunisti tanto da parte dei danneggiati (che per non essere penalizzati potrebbero non coltivare le trattative stragiudiziali ed agire frettolosamente per l’intero) che da parte delle imprese le quali – in ipotesi – potrebbero essere incentivate a formulare offerte di poco inferiori al dovuto poiché, ove convenute in giudizio per esigue differenze, al più verrebbero condannate a pagare pressappoco le medesime somme che avrebbero corrisposto liquidando correttamente il danno in uno con le spese stragiudiziali. Appena il caso di notare che anche tale condotta costituirebbe escamotage non risolutivo alla luce di Cass. Civ. sez. III, Ordinanza 4306 del 14 febbraio 2019 che ha chiarito come in tali casi si debba procedere alla liquidazione delle spese di lite mediante l’applicazione del parametro sullo scaglione superiore vale a dire “per l’intero ammontare complessivamente riconosciuto in via stragiudiziale e giudiziale” Dunque, oltre a contrastare con la univoca giurisprudenza di legittimità, la mancata corretta liquidazione delle spese di lite porta a far perdere al processo la sua deterrenza incentivando paradossalmente comportamenti opportunisti e/o di abuso dello stesso strumento processuale. L’orientamento del merito e della legittimità e l’art. 1223 cc La giurisprudenza di legittimità appare costante nel ritenere sussistente il diritto dei danneggiati alla refusione di tali spese che ben possono essere quantificarsi sulla base dei parametri di cui al D.M. 55/2014, così come integrato dal D.M. 37/2018. L’orientamento ad ora prevalente è infatti che le spese di assistenza costituiscano danno patrimoniale consequenziale dell’illecito, secondo il principio della regolarità causale (art. 1223 c.c.), diventando una componente del danno da liquidare, atteso che è comunque un qualcosa intrinsecamente diverso rispetto alle spese legali vere e proprie (Cass. Civ. Ord., Sez. 6, N° 6422/2017, Cass. Civ. n° 2275/2006, Cass. Civ. Sez. Unite, n°26973/08). Una chiara sintesi dei summenzionati principi è stata fatta dal Tribunale di Torino (Sezione IV Civile, sent. 511 del 2 febbraio 2019): “…Sussistono infine i presupposti per riconoscere il rimborso delle spese per l’assistenza stragiudiziale dovendosi rilevare: 1) che già la tariffa di cui al DM 55/2014 prevedeva la liquidazione di tali spese e che ora il DM 37/2018 le prevede espressamente anche in relazione all’assistenza prestata nelle fasi di mediazione e di negoziazione; 2) che sebbene il difensore di parte attrice non abbia prodotto fattura in atti, l’attività stragiudiziale svolta, con autonoma rilevanza non solo per assolvere alla condizione di procedibilità costituita nel caso di specie dalla mediazione, ma anche per trattare ante causam con l’assicurazione si desume ed è provata dal carteggio prodotto…: vanno quindi riconosciute non solo le spese vive sostenute per la mediazione …ma anche le spese di assistenza stragiudiziale, che vanno liquidate, anche in via equitativa ed ai valori attuali, in riferimento alla tabella di cui al DM 55/14 e succ. mod. (v. DM 37/2018) per l’importo di Euro 1.890,00 considerato il valore della domanda, …”. Si rileva infine che talvolta ha costituito ragione di diniego alla refusione la mancata prova della pagamento delle spese da parte del danneggiato al professionista. Si tratta di valutazioni che non valorizzano appieno né il regime fiscale dei professionisti (che prevede la fatturazione al momento dell’effettivo pagamento) né tengono conto che – anche ove richiesto in termini risarcitori – il futuro esborso connesso alla notula proforma e non ad una fattura emessa costituisce comunque danno futuro risarcibile. Le tesi dei debitori: le spese non si pagano perché… Ciononostante i dinieghi al ristoro delle spese di assistenza, soprattutto in sede di trattativa precontenziosa sono frequenti e sono improntati quasi sempre sulle medesime argomentazioni. La prima argomentazione è che nel risarcimento diretto le spese legali non sarebbero risarcibili con la variabile che ove lo fossero non sarebbero dovute se il risarcimento avviene nei termini di legge. Appena il caso che di notare che il risarcimento diretto è una procedura che non muta la natura sostanziale del risarcimento dovuto dal debitore. Siccome ovviamente non esistono danni non risarcibili in relazione alla loro natura (il costo della consulenza medica si quella dell’avvocato no?) l’unico criterio è quello della loro riconducibilità causale all’evento ex 1223 cc per cui se spese vi sono state le stesse vanno rimborsate. Sul punto era peraltro intervenuta già Cass. 3266 del 2016 chiarendo che il regolamento ministeriale che disciplina il risarcimento diretto (l’art. 9 comma II del D.P.R. n. 254/2006) se interpretato come norma che impedisce il risarcimento del spese legali sarebbe in ogni caso atto amministrativo da disapplicare dovendosi altrimenti ritenere nulla detta disposizione per contrasto con l’art. 24 Cost. ove ritenuta norma volta ad impedire del tutto la risarcibilità del danno. Molte volte viene pure eccepita la asserita non necessità dell’attività difensiva motivandosi a parere del debitore che l’intervento legale non sarebbe necessario in quanto, ad esempio, non necessaria l’assistenza legale per i) la compilazione di una semplice lettera quale sarebbe la richiesta risarcitoria, ii) del suo inoltro all’assicurazione, iii) per la richiesta di accesso agli atti, iv) per la constatazione e valutazione dei documenti dell’assicuratore trattandosi di attività che potrebbero anche essere compiute personalmente dalla persona danneggiata. In tal caso la “lettera” come chiarito dalla Cassazione è un atto giuridico in senso stretto (Cass. Civ. Sez. III 09 febbraio 2000 n. 1444; Cass. Civ. Sez. I 15 maggio 1980 n. 3206). Oppure ancora nel caso di trattative che sfocino in contenzioso i debitori eccepiscono in giudizio che le spese legali giudiziali assorbono tout court quelle stragiudiziali con la variante che tale assorbimento si verificherebbe in quanto le stesse non sarebbero “necessarie”. O, ancora e infine le spese non si pagherebbero perché l’attività stragiudiziale non riveste autonoma rilevanza rispetto a quella resa in giudizio, essendo consistita nell’esame della denuncia di sinistro, della fattura di riparazione e nella redazione della raccomandata di messa in mora, ovvero in attività che si sarebbero comunque dovute svolgere per dare avvio alla fase giudiziale della controversia. L’intervento della Cassazione 26368/2022 ed il relativo principio di diritto Tali argomentazioni sono state del tutto ridimensionate dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 26368/2022 non si è limitata a risolvere il caso concreto ma ha ritenuto di enunciare un principio di diritto, vale a dire che: “In tema di responsabilità civile da circolazione, il costo sopportato dal danneggiato per l’attività stragiudiziale svolta in suo favore da un legale, diretta sia a prevenire il processo sia ad assicurarne un esito favore, ancorché detta attività possa essere svolta personalmente, si deve considerare un danno emergente, che, se allegato e provato, deve essere risarcito ai sensi dell’art. 1223 c.c.” Ciò si raccorda col principio di diritto, affermato a Sezioni Unite e più volte ribadito dalle Sezioni Semplici in forza del quale le spese legali di assistenza stragiudiziale hanno natura di danno emergente (S.U. 10 luglio 2017 n. 16990). Discutere di necessità o di assorbimento delle spese significa disapplicare l’art. 1223 cc Con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha dunque affermato con chiarezza che postulare l’omesso riconoscimento delle spese legali affermando la non necessarietà delle medesime in quanto frutto di attività che avrebbe potuto essere svolta dal danneggiato personalmente ovvero dichiarandole “assorbite” dalle spese giudiziali costituisce “una forma di disapplicazione” dell’art.1223 cc da scongiurare in quanto potrebbe indurre l’operatore del diritto a ritenere che l’attività stragiudiziale non sia necessaria, ovvero non rivesta autonoma rilevanza rispetto a quella resa in giudizio atteso che: E’ necessaria e non superflua l’attività svolta dal difensore anche se il danneggiato avrebbe potuto svolgerla personalmente in quanto nel “quadro legislativo della responsabilità civile per circolazione dei veicoli sussistono norme specifiche relative all’autorità stragiudiziale” costituenti, peraltro, “presupposto legittimante” l’attività giudiziale. È autonoma rispetto alla fase giudiziale in quanto, diversamente ragionando si perverrebbe ad una “nullificazione dell’attività forense stragiudiziale” “perché l’inevitabile ‘stretta connessione e complementarità’ assumerebbe, a ben guardare, una sorta di effetto retroattivo sull’attività forense stragiudiziale nel senso di assorbirla in quella giudiziale e quindi espungerla dal danno emergente” Ora che con la pronuncia in commento la Cassazione non si è limitata a risolvere il caso concreto ma ha espresso un rilevante principio di diritto che pare poter far chiarezza definitiva su una questione molto rilevante si auspica che il contemperamento delle posizioni di danneggiati e imprese possa ritenersi finalmente composto.
A cura di Massimo Perrini e Valentina Barp, avvocati del Foro di Torino